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Il manifesto come forma d'arte

L'installazione cinematografica Manifesto, che viene proiettata in questi giorni all'Hamburger Bahnhof di Berlino, affronta alcuni dei tanti paradossi legati al genere manifesto, sia nei suoi aspetti politici che artistici. 




(QUESTO ARTICOLO È TRADOTTO DA Google dal norvegese)

Quando l’Assemblea Internazionale Occupy pubblicò il suo Manifesto GlobalMay sul Guardian nel maggio 2012, le reazioni all’interno del movimento furono talvolta forti. Il manifesto cercava di elencare ciò che Occupy rappresentava, tra le richieste figurano l’assistenza sanitaria e l’istruzione gratuite, la riduzione dell’orario di lavoro e la tassa sulle transazioni finanziarie. Inoltre, è stato necessario aggiornare i diritti umani e creare nuove versioni radicalmente democratiche di organizzazioni globali come l’ONU. I critici del Manifesto GlobalMay ritenevano che la stesura di questo documento fosse una dichiarazione di fallimento. Si credeva che riunire Occupy sotto un unico programma avrebbe significato indebolire il movimento. La forza di Occupy è stata proprio quella di non avanzare richieste specifiche, e tutto ciò su cui il movimento poteva concordare era la rivalutazione dei valori del capitalismo globale. L’unica cosa che Occupy rivendicava era lo spazio.
Se si dovesse delineare una dichiarazione politica in linea con la vera etica di Occupy, probabilmente assomiglierebbe più da vicino ai manifesti delle avanguardie artistiche del XX secolo. In questo caso, la funzione più importante del testo è quella di stabilire un movimento e una piattaforma, e quindi occupare un posto agli occhi del pubblico.

Montaggi manifesti. L'artista tedesco Julian Rosefeldts installazione cinematografica Manifesto affronta alcuni dei tanti paradossi legati al genere manifesto, sia nei suoi aspetti politici che artistici. In quest’opera, attualmente esposta al museo d’arte Hamburger Bahnhof di Berlino, Cate Blanchett interpreta 13 personaggi diversi – insegnante di scuola, senzatetto, agente di cambio, operaia madre single eccetera – mentre declama strofe tratte da 53 manifesti storici. Si tratta soprattutto di manifesti artistici, da Tristan Tzara a Werner Herzog, dall'Internazionale Situazionista a Dogma 95. Le poche eccezioni sono manifesti politici che Il Manifesto Comunistae John Reed Club Bozza del Manifesto. Ma il manifesto è forse proprio il genere in cui l’aspetto artistico e quello politico si sovrappongono maggiormente.
Ciascuno dei monologhi di Blanchett sono montaggi costituiti da estratti di diversi testi originali, ma tutti i film vengono proiettati simultaneamente, soffocandosi a vicenda in una massa polifonica di voci. Se non è per motivi di pubblicità che Rosefeldt ha scelto di lasciare che Blanchett interpreti tutti questi ruoli, forse è per dire che i tanti manifesti della storia consistono in un unico e medesimo messaggio mascherato in forme diverse.

Il manifesto è forse il genere in cui l'aspetto artistico e quello politico si sovrappongono maggiormente.

04_Julian_Rosefeldt_ManifestoPathos e parodia. Le interpretazioni di ruolo burlesque di Blanchett in Manifesto è fedele alla tradizione, perché la teatralità è uno dei tratti distintivi del genere manifesto. Dal XVII secolo fino all'inizio del secolo scorso, il manifesto equivaleva a una dichiarazione politica, ma con la "Fondazione e Manifesto del Futurismo" del poeta e drammaturgo italiano Filippo Tommaso Marinetti, stampata sulla prima pagina del quotidiano Le Figaro nel 1600, il manifesto si trasforma da politica a teatro lirico, come ha notato la studiosa di letteratura Marjorie Perloff. Marinetti e i suoi compagni futuristici cantanti avevano allora anche l'abitudine di recitare i loro innumerevoli manifesti dal bordo del palco. Ma Perloff ci ricorda anche che già nel Manifesto comunista di Marx ed Engels del 1909, con la famosa affermazione "Un fantasma infesta l'Europa – il fantasma del comunismo", suona il tono poetico e teatrale che caratterizza il genere del manifesto.
Marinetti inizia il suo manifesto descrivendo una notte in cui lui e i suoi amici escono da un fosso dopo un violento incidente stradale. Ecco Marinetti nella traduzione di Espen Grønlie: "...con la faccia ricoperta di buon fango di fabbrica...noi, vergognosi, con le braccia legate ma impavidi, dichiarammo le nostre intenzioni a tutti i vivo le persone sulla terra..." Poi arriva la dichiarazione rivoluzionaria: "Distruggeremo i musei, le biblioteche, le accademie di ogni genere".
Con Marinetti, il comunicato programmatico terribilmente serio è inserito in una narrazione che assomiglia a una caricatura. E nemmeno a Rosefeldts Manifesto, quando Cate Blanchett declama strofe del manifesto nel ruolo di oratrice funebre o di conduttrice di notizie, è bene sapere se si tratta di un omaggio o di uno scherzo. Ma fin dall’inizio della sua storia recente, il genere del manifesto alterna così il pathos rivoluzionario e la parodia autoriflessiva.

Un capro espiatorio per il presente. Uno dei testi citati da Blanchett è Tristan Tzaras Dada manifesto del 1918. Esordisce così: "Per lanciare un manifesto bisogna volere che l'ABC tuoni contro 1.2.3. …firmare, urlare, giurare.” Il manifesto di Tzara è allo stesso tempo un'introduzione e una critica al manifesto così come si era sviluppato tra i movimenti d'avanguardia nei primi decenni del XX secolo. Il testo di Tzara è degno di nota anche per la rottura con i propri principi: Dada manifesto non lo farà né A., né B., né C., e per sottolinearlo dichiara l'abolizione del futuro!
Ma questa è anche una caratteristica tipica del manifesto e uno dei paradossi più sorprendenti del genere: retoricamente il manifesto appare come un mezzo soggetto a uno scopo politico o artistico, ma in realtà il manifesto è scopo e mezzo allo stesso tempo. L’avanguardia usa i manifesti per invocare una nuova pittura, una nuova poesia e un nuovo film, ma è il manifesto stesso ad essere la più alta forma d'arte dell'avanguardia. Infatti, sia che il manifesto invochi o abolisca il futuro, la sua funzione primaria non è quella di avanzare determinate richieste o soddisfare obiettivi particolari, ma di essere un capro espiatorio letterario che apre uno spazio – un palcoscenico, una piattaforma – nel presente.

 

Vedi anche articolo associato Cinque scene da Berlino su questa mostra.

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