"Questa moderna ossessione per l'identità mi rivolta. È un modo per restringerci fino a diventare come alieni l'uno per l'altro".
L'ultimo romanzo di Salman Rushdie è quasi traboccante di questioni politiche attuali in Occidente e non da ultimo negli Stati Uniti, come la politica dell'identità, i fatti alternativi e il neopaternalismo. Si dice spesso che la letteratura politica è cattiva perché si basa su visioni del mondo semplificate, ma la letteratura politica di Rushdie funziona bene perché si oppone costantemente alle semplificazioni della realtà.
I La casa d'oro incontriamo René, un giovane regista e newyorkese con origini belghe, che nel classico stile di Woody Allen “nasconde i [suoi] sentimenti. [Lui] li rinchiude o li sublima in riferimenti cinematografici». Ma sebbene il libro segua René e i drammatici colpi di scena della sua vita, qui non è lui il personaggio principale, ma il miliardario Nero Golden e i suoi figli Petya, Apu e D. E se questi sembrano nomi inventati, è perché . . .
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