La foresta primordiale è verde smeraldo e un fiume curva verso l'interno verso una quercia incontaminata. Audun Amundsen era un turista zaino in spalla dai capelli lunghi quando, per la prima volta nel 2004, incontrò gli indigeni delle isole Mentawai in Indonesia ed era incatenato. Ha vissuto nella giungla con loro per un mese intero.
Per quattordici anni è sempre tornato a fotografare e filmare ciò che pensava sarebbe rimasto la vita autentica. Le immagini sono spettacolari, a volte quasi ipnotizzanti.
L'attesa di un paradiso libero da ogni modernità catturata come un film documentario si è trasformata nella narrazione del contrario: newtopia. Con la sua stretta relazione di lunga data con lo sciamano Aman Paksa, il regista si ritrova all'interno quando le tradizioni degli indigeni vengono sfidate e si sgretolano nel desiderio delle comodità del presente. Ambientato in rilievo per la tipica romanticizzazione occidentale di Amundsen della vita dura e dura nella giungla, il film diventa un'importante riflessione sulla visione contraddittoria che abbiamo di gli altri contro noi stessi.
All'inizio del film, il regista usa una presa ben funzionante dove lui stesso si pone come rappresentante del punto di vista gli altri rimarranno inalterati dalle possibilità e dai progressi del presente:
"Non sono molto entusiasta di tutta la plastica e dei vestiti che hanno [i Mentawai, ndr] . . .
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